Statue parlanti
Le quattro statue definite “parlanti” dalla tradizione popolare romana, sono quelle dette del Pasquino, dell’Abate Luigi, di Madama Lucrezia e di Marforio.
A queste sono state accorpate nel tempo quelle facenti parte della decorazione di due fontane e dette: del Babuino e del Facchino.
Le sculture, di varie epoche, sono anche definite come Congresso degli arguti, quindi considerate parlanti. Sono state per lungo tempo portavoce del malcontento popolare e hanno riscosso notevole fama a Roma. Sul corpo di queste statue e fontane, infatti, erano affisse anonime e sagaci satire in versi indirizzate ai personaggi in voga a Roma in vari periodi e, in particolare nel XIV-XVI secolo, quale espressione appunto del malcontento popolare nei confronti della classe più elevata che deteneva il potere e il controllo della città.
La statua del cosiddetto Pasquino raffigura un torso mutilo appartenente ad un gruppo marmoreo raffigurante Menelao col corpo di Patroclo della prima età ellenistica (III sec. a.C.).
La statua, d’epoca tardo-romana, raffigura un togato, di dimensioni quasi al vero, così denominato dalla tradizione popolare romana con riferimento al nome di un abate della vicina chiesa del Sudario con simile fisionomica a quella della scultura.
Il busto marmoreo della cosiddetta Madama Lucrezia, forse ritratto di Faustina e proveniente dal Tempio di Iside, era esposto al pubblico fin dal XV secolo presso il Palazzo di San Marco, a sinistra dell’ingresso dell’omonima Basilica.
La statua, risalente al I secolo, si trovava presso la chiesa di S. Pietro in Carcere, di fronte alla Chiesa dei Ss. Luca e Martina, dove la statua sarebbe rimasta fino al 1588.
La fontana del Babuino, così ribattezzata dal popolo romano che, a causa della sua bruttezza, ravvisava nella statua la figura di una scimmia, era in origine una fontana "semipubblica".
“Pasquino ha due concorrenti, uno il Facchino di Via Lata,
l’altro il Marforio sul Campidoglio.
Pasquino è destinato ai nobili,
Marforio ai cittadini,
il Facchino alla plebe”.
(Theodor Sprenger, Roma nova, 1660)