Monumento a Giacomo Matteotti
Ideato in occasione del 50° anniversario della morte del segretario del Partito Socialista, esso venne collocato in prossimità del luogo ove Matteotti fu sequestrato da una banda di squadristi fascisti il 10 giugno 1924, per poi essere ucciso.
L'imponente monumento bronzeo, dedicato alla memoria di Giacomo Matteotti (1885-1924), venne realizzato nel 1974 dall'artista pistoiese Jorio Vivarelli. La frase riportata sul monumento è tratta dal discorso che il politico socialista pronunciò il 30 maggio 1924 - pochi giorni prima di essere rapito - alla Camera dei Deputati, per denunciare i brogli elettorali commessi dal partito fascista durante le precedenti elezioni. Il suo corpo venne ritrovato il 16 agosto alla macchia della Quartarella, poco distante da Roma.
Realizzata grazie a una sottoscrizione pubblica lanciata dai socialisti e dallo stesso Vivarelli, l'opera venne fusa a Pistoia, presso la fonderia Michelucci, per poi essere trasportata a Roma, dove venne inaugurata il 10 giugno 1974, alla presenza delle massime autorità dello Stato italiano.
È composta da due distinti elementi bronzei: un'alta stele con forte sviluppo verticale, dalla forma irregolare e lanceolata che evoca la sagoma di una foglia, percorsa da una fenditura e con una sorta di pistillo centrale; e un elemento dallo sviluppo orizzontale, che ricorda un rovo di pruni.
Intitolata L’idea, la morte, e ispirata alla famosissima frase attribuita allo stesso Matteotti Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai, è così descritta dallo stesso Vivarelli in una lettera alla Fondazione Giacomo Matteotti: (l’elemento) orizzontale, (…) attraverso l’esasperazione della forma e della materia, vuole significare la macerazione e la distruzione fisica, intesa in senso universale, in un momento tragico della Storia. L’elemento verticale sta a significare l’ideale in ascesa verso lo spazio, attraverso una forma scattante, pura, lirica, simbolo di chiarezza e di speranza.
Questo costituisce senza dubbio uno degli esiti di maggior rilevo dell'attività di Vivarelli, artista animato da una profonda eticità e particolarmente sensibile ai temi di impegno civile e di difesa della libertà, anche a causa della sua esperienza personale di lunga prigionia nei campi di concentramento in Ungheria, in Austria, e in Germania. Scultore e grafico, la ricerca dell'artista, che evolve da influssi novecentisti a forme di realismo espressionista, si è declinata in più occasioni in soluzioni plastiche di carattere monumentale, spesso innervate da profonde riflessioni sul rapporto tra scultura, architettura e spazio pubblico, testimoniate da opere di grande impegno in Italia, Europa, Stati Uniti e Giappone, fra cui quelle per Philadelfia e Detroit. Vivarelli, difatti, pur rimanendo sempre profondamente legato alla sua terra d’origine, godette di fama internazionale, anche grazie alle collaborazioni artistiche con alcuni dei più importanti architetti del Novecento, da Giovanni Michelucci a Oskar Storonov, Marcel Lajos Breuer e Le Corbusier.
A conferma del valore simbolico e memoriale dell'opera, nell'area antistante sono state collocate in tempi diversi numerose lapidi commemorative.