La torre del Papito
La torre del Papito, nota anche come torre dei Boccamazza, è una delle poche costruzioni romane risalenti al periodo medievale a noi giunta nella sua interezza. Non va confusa con la torre Argentina, i cui resti sono conservati in via del Sudario nel cortile del palazzo del vescovo Johannes Burckardt, originario di Strasburgo (l’antica Argentoratum).
L’origine del termine Papito invece potrebbe derivare dal soprannome dell’antipapa Anacleto II (1132-1138), definito “Papetto” per via della giovane età e della bassa statura, o, più verosimilmente, dalla famiglia dei Papareschi, anche chiamati de Papa, a cui le frammentarie notizie attribuiscono la costruzione nel XIV secolo.
La proprietà passa in seguito ai Foschi de Judeis, di origine ebraica, e poi ai Boccamazza che la cedono, tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, ai Cesarini. Nella Nuova Pianta di Roma della metà del Settecento, redatta da Giambattista Nolli, la torre risulta chiusa su due lati da altre costruzioni, che verranno distrutte in tempi moderni per l’allargamento di via delle Botteghe Oscure, isolandola completamente. Alla base, in corrispondenza di via di S. Nicola de’ Cesarini, Antonio Muñoz, direttore della X Ripartizione del Governatorato, fa realizzare ex novo il portichetto, nel quale vengono reimpiegate le colonne provenienti da un edificio demolito nell’area circostante.
La torre, a pianta quadrangolare, ha un’altezza nel punto più elevato di m 19,25. Presenta un paramento murario in laterizi di seconda scelta e un tetto con copertura a coppi e tegole alla romana.
Nel portico attualmente sono esposti quattro capitelli di parasta appartenenti alla facciata della chiesa di S. Nicola de’ Cesarini e l’architrave del portale di palazzo Aquari, demoliti tra il 1927 e il 1929.